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Ernesto Di Broglio

Nacque a Resana (Treviso), il 12 aprile 1840 da Antonio e Rachele Vittorio. Il padre era di famiglia comitale originaria di Pavia. Studente di giurisprudenza a Bologna, si laureò il 24 maggio 1860 e nello stesso anno partì come volontario nella seconda guerra d’indipendenza, sbarcando in Sicilia al seguito della spedizione guidata dal generale Medici.

Rientrato nella sua città natale, si dedicò a studi di carattere amministrativo e finanziario pur non tralasciando le attività connesse alle tenute di proprietà. Nel 1867 il primo incarico pubblico: fu eletto nel Consiglio provinciale di Treviso, con una breve interruzione tra il 1873 e il 1875, per proseguire sempre con la nomina di consigliere e poi presidente dal 1892 fino al 1907. Il 22 ottobre 1877 si sposò con Celestina Serri Dall’Armi, dalla quale ebbe cinque figli tra il 1879 e il 1886: Paolina, Adele, Antonio, Elena ed Emilia. Il 23 maggio 1886 (XVI legislatura) fu eletto deputato alla Camera nel I collegio di Treviso. Poi ancora nel collegio di San Biagio di Callalta, in provincia di Treviso, nelle legislature XVIII (dal 6 marzo 1892), XIX (dal 26 maggio 1895) XX (dal 21 marzo 1897), XXI (dal 3 giugno 1900) e XXII (dal 6 novembre 1904). Nella sua attività di deputato partecipò attivamente ai lavori parlamentari e prese parte a diverse commissioni come quella sulla riforma delle leggi sull’imposta di ricchezza mobile e per il riordinamento della fondiaria.

Il 21 giugno 1896 fu nominato Consigliere di Stato. Di Broglio, nell’ambito della sezione I del Consiglio di Stato, fu relatore di pareri inerenti l’amministrazione economica di comuni e provincie compresa l’applicazione delle misure fiscali impartite e anche relativamente a nomine e trattamenti economici dei dipendenti comunali. Ma si occupò anche di pareri attinenti lo stato giuridico di enti morali, in particolar modo di opere pie, congregazioni di carità, ospizi, monti di pietà.

Passò poi nel 1900 ad occuparsi all’interno della Sezione II di pareri riguardanti i lavori pubblici, dalle proposte di progetti di appalti a contenziosi circa i rapporti economici tra gli appaltatori e le ditte esecutrici dell’appalto.

Nel governo Zanardelli, il 15 febbraio 1901 fu nominato ministro del Tesoro, questo incarico lo costrinse ad abbandonare la propria partecipazione all’attività del Consiglio di Stato. Una nomina la sua, non attesa e che anche lui mai si sarebbe aspettata, difatti arrivò solo dopo il rifiuto di altri candidati come Luigi Luzzatti, Gaspare Finali, Francesco Guicciardini, Leone Wollemborg. Peraltro Di Broglio fu tra i maggiori oppositori del progetto di riforma tributaria presentato da quest’ultimo, che prevedeva l’abolizione del dazio sul consumo delle farine, sul pane e sulle paste, ricercando una più giusta distribuzione dei carichi fiscali tra le classi. Il progetto venne avversato dal Di Broglio principalmente per il carico, a suo avviso eccessivo, che sarebbe ricaduto sullo Stato. Tale dissenso provocò le dimissioni del Wollemborg.

In effetti Di Broglio ebbe non pochi problemi all’interno della struttura ministeriale, attriti ebbe anche con Giolitti nel febbraio 1902 a proposito delle rivendicazioni dei ferrovieri e in seguito ancora con Zanardelli nel gennaio 1903 circa la politica degli sgravi. Questi chiedeva l’esenzione dell’imposta sui fabbricati di nuove industrie, la riduzione del prezzo del sale ed altre iniziative a cui il Di Broglio si dichiarò fortemente contrario. Tale polemica, che facilmente avrebbe comportato le sue dimissioni, non ebbe conseguenze formali e Di Broglio rimase al suo posto, seppur malvisto da più fronti. Attacchi arrivarono dalla stampa e in sede parlamentare, piuttosto duro con lui fu in questa sede Sonnino, il quale gli mosse accuse circa il suo modo di gestire la finanza pubblica con troppa disinvoltura, creando gravi disavanzi di bilancio.

Con la caduta del governo Zanardelli, il 3 novembre 1903 l’incarico ministeriale di Di Broglio cessò e non venne più rinnovato. Il 3 febbraio 1907 venne nominato Senatore nella 3ª categoria (deputati dopo 3 legislature o 6 anni di esercizio) e poco dopo, il 16 febbraio fu nominato Presidente della Corte dei Conti. Nel discorso di insediamento pronunciato il 21 febbraio 1907, il Di Brogliò ribadì quanto la Corte fosse una delle “creazioni più felici del legislatore italiano”, corrispondendo pienamente già per circa mezzo secolo, alle delicate funzioni per le quali era nata. Evidenziò però la necessità, e il suo impegno per un processo di semplificazione amministrativa, che la Corte avrebbe dovuto attendere pur garantendo le funzioni di vigilanza e controllo a cui era istituzionalmente preposta, per non perdere di vista le priorità proprie di tale istituzione. Rivestì la carica di Presidente fino al 12 aprile 1915 quando, sopraggiunti i limiti di età, fu collocato a riposo.

Morì a Roma il 22 giugno 1918.