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Gaspare Finali

Gaspare Finali nacque a Cesena il 20 maggio 1829, da Giovanni, notaio, e da Maria Zamboni. Studiò presso il Seminario di Cesena, poi presso quello di Ancona, sotto la guida di sacerdoti di elevata statura intellettuale, che gli diedero un’ottima formazione umanistica e suscitarono in lui l’interesse per le novità culturali dell’epoca, permettendogli di leggere libri allora proibiti dal Sant’Uffizio, come le Istorie del Machiavelli, il Primato morale e civile degli italiani del Gioberti e Le speranze d’Italia di Cesare Balbo.

Il Finali, ispirato dalla lettura di quei libri, aderì ancora giovanissimo ai movimenti mazziniani e partecipò alle lotte contro il Governo pontificio e per l’unificazione nazionale. Fu così, con il fratello Amilcare, di alcuni anni più giovane, uno dei protagonisti del Risorgimento nelle Romagne.

Nel 1846 s’iscrisse alla facoltà di giurisprudenza dell’università di Roma, continuando, anche in quella città, l’opera di propaganda contro il governo pontificio; all’atto della proclamazione della Repubblica romana, entrò nella Guardia nazionale con il grado di tenente. Dopo la fine della Repubblica e il ritorno del Papa, non poté rientrare a Roma per riprendere gli studi; si trasferì perciò presso l’università di Bologna, dove si laureò in giurisprudenza il 30 novembre 1850.

Avrebbe voluto iniziare l’attività forense, ma la polizia pontificia, che lo teneva sotto stretta sorveglianza, stava per arrestarlo, avendo scoperto la sua partecipazione attiva alla preparazione dei moti risorgimentali. Il Finali perciò nel 1855 fuggì a Torino, seguendo l’esempio dei moltissimi patrioti d’ogni parte d’Italia che trovarono rifugio nel Piemonte liberale, per continuare la lotta per l’unificazione italiana. A Torino, il giovane esule prese contatti con i maggiori esponenti liberali, in particolare con Luigi Carlo Farini, che lo presentò a Cavour.

Il contatto con Cavour convinse il Finali ad abbandonare le sue simpatie repubblicane, ispirate a Mazzini, e a convertirsi all’idea dell’unificazione nazionale sotto la monarchia sabauda; in quel periodo, fu nominato segretario del Comitato centrale per l’emigrazione italiana. Per vivere, accettò l’offerta del conte Beltrami che gli procurò un posto di contabile nella Società agricola e Industriale della Sardegna e il Finali dovette recarsi presso la sede di Macomer della Società; rimase nell’isola venti mesi poiché, colpito dalla malaria, fu costretto a rientrare a Torino, presso la sede centrale della Società.

Nel 1859 tornò a Cesena, ormai liberata dal Governo pontificio, partecipò alle attività del Governo provvisorio e fu eletto deputato all’Assemblea costituente delle Romagne, che nel settembre 1859 dichiarò la decadenza del governo del Papa e l’annessione al Regno di Sardegna.

Nel 1860, dopo l’annessione delle province della Romagna al Regno di Sardegna, si tennero le elezioni per la VII legislatura del Parlamento subalpino e il Finali fu eletto deputato, in quel periodo, si occupò anche, per incarico ufficioso del Governo, di agevolare la partenza dei Mille per la Sicilia.

Dopo la proclamazione del Regno d’Italia (17 marzo 1861), fece parte della Commissione governativa incaricata di predisporre i progetti di legge per l’unificazione politica e amministrativa del nuovo Regno, e stese il progetto della legge comunale e provinciale.

Nel 1861, nel primo governo dopo la morte di Cavour, il presidente del Consiglio, Bettino Ricasoli, assunse anche il Ministero dell’interno, e nominò il Finali capo di un ufficio speciale incaricato dei rapporti fra il Governo centrale e le luogotenenze di Napoli, Sicilia e Toscana. Dopo il riordino del Ministero, Finali fu nominato capo della divisione per gli affari politici. Nel 1862, fu nominato sottoprefetto ad Abbiategrasso (Milano), ma non gradì la nomina, interpretandola come un tentativo di allontanarlo dall’amministrazione centrale, a causa della sua inimicizia con Rattazzi, e anche perché il trasferimento da Roma gli rendeva difficile la vita familiare, essendosi sposato, alcuni mesi prima, con Lucia Zauli, vedova con due figli di Luigi Urtoller. Venne in suo aiuto Quintino Sella, al quale era legato da stima e amicizia, che lo chiamò presso il Ministero delle finanze: iniziò così la lunga carriera amministrativa di Gaspare Finali, che fu uno dei maggiori artefici delle istituzioni politiche e amministrative dello Stato unitario.

Presso il Ministero delle finanze, si occupò, con il grado di ispettore generale, dell’applicazione della legislazione delle imposte sui terreni e fabbricati e delle imposte sui consumi. Nell’agosto 1865, Sella, divenuto nuovamente ministro delle finanze, lo nominò segretario generale di quel dicastero. Il 22 ottobre 1865 fu eletto deputato per la IX legislatura nel collegio di Cesena, mantenendo la carica di segretario generale del ministero delle finanze. Durante alcuni mesi del 1867, mentre era ministro delle finanze il conte Cambray-Digny, fu nominato direttore generale delle Tasse e Demanio, perciò dovette dimettersi da deputato per l’incompatibilità con la carica di direttore generale. Il 10 marzo 1867 fu nuovamente eletto deputato per la X legislatura nel collegio di Belluno.

Il 21 dicembre 1869, Quintino Sella tornato nuovamente al Governo come ministro delle finanze, nominò il Finali consigliere della Corte dei conti. La nomina non gli fu gradita poiché lo costrinse a dimettersi da deputato e a non potersi ricandidare, poiché i magistrati della Corte dei conti erano ineleggibili; avrebbe perciò preferito la nomina al Consiglio di Stato, che gli avrebbe permesso di ricandidarsi alla Camera.

Finali così descrive nelle sue Memorie l’ingresso alla Corte dei conti, dove sarebbe rimasto fino al 1907, divenendone presidente nel 1893, e l’ambiente che vi trovò:

“Era stato per me triste il passaggio alla Corte dei conti, che mi chiudeva le porte della Camera dei deputati; [...]. Mi arrideva la speranza di potere, quando che sia, essere nominato al Consiglio di Stato ridivenendo così eleggibile, ma frattanto studiava assiduamente leggi e regolamenti per istruirmi e impratichirmi nell’esercizio del mio ufficio di Consigliere della Corte dei conti. Non pensava che lì avrei terminato la mia carriera nel 1907; e non sognava che nel 1893 ne sarei divenuto presidente succedendo ad Augusto Duchoqué, un toscano di molta esperienza e dottrina, giudizioso ed equanime, che fin dai primi giorni mi confortò coi segni di molta benevolenza. A quel tempo che io vi entrai, cioè nel 1869, onoravano la Corte insigni uomini: fra i quali ricordo Antonio Scialoja, in cui la bontà dell’animo eguagliava l’altezza dell’ingegno; Francesco Ferrara, il principe degli Economisti del suo tempo; Francesco Paolo Perez, cultore illustre di studi storici e letterari, in ispece danteschi; Agostino Magliani, ingegno meravigliosamente sottile e facondo; la cui grande abilità di persuadere sulle condizioni del Bilancio nocque alla pubblica finanza e ne portò in alto la fama”.

La partecipazione alla vita politica non gli fu però preclusa definitivamente poiché, su proposta del presidente del Consiglio Lanza, il 9 novembre 1872 fu nominato senatore per la 3° categoria (la quale prevedeva la nomina dei deputati per almeno tre legislature). L’appartenenza al Senato regio non era incompatibile con l’appartenenza alla magistratura della Corte dei conti, gli fu possibile così continuare la sua attività presso la Corte e, allo stesso tempo, prendere parte alla vita politica nazionale.

Partecipò assiduamente ai lavori del Senato, di cui fu vicepresidente dal 1898 al 1904. Nel 1878, fu nominato membro della Commissione di contabilità interna del Senato e nel 1881 prima membro, poi presidente della Commissione permanente di finanza, a capo della quale rimase fino al termine della sua vita.

Le attività presso la Corte dei conti e presso il Senato furono intervallate dalla partecipazione del Finali al Governo. La prima volta quale Ministro di agricoltura, industria e commercio nel ministero Minghetti, dal 10 luglio 1873 al 25 marzo 1876. Durante la permanenza a capo di quel Dicastero, presentò i disegni di legge riguardanti l’emigrazione e il riconoscimento delle società di mutuo soccorso, ma il risultato più importante della sua attività fu la presentazione del disegno di legge sulla circolazione cartacea durante il corso forzoso, divenuto legge 30 aprile 1874, n. 1920, che regolò il sistema bancario fino al 1893, quando fu istituita la Banca d’Italia.

Nel secondo Governo Crispi, fu ministro dei lavori pubblici dal 9 marzo 1889 al 6 febbraio 1891.

Nel 1898, dopo la caduta del ministero di Rudinì, a seguito dei tumulti di Milano, il Finali fu incaricato dal re di formare il nuovo Governo, ma dovette rinunziare all’incarico, non essendo riuscito a formare una maggioranza. L’anno prima era rimasto vedovo, per la morte della moglie, dopo lunga malattia. Nel 1901, infine, fu per un breve periodo, ministro del Tesoro nel Governo Saracco.

Gli intervalli per la partecipazione al Governo, non lo distolsero dall’attività presso la Corte dei conti, della quale fu nominato presidente di Sezione il 26 febbraio 1891 e presidente il 5 marzo 1893, rimanendo in carica fino al 15 febbraio 1907, quando chiese il collocamento a riposo per età avanzata e anzianità di servizio. Telesforo Sarti, celebrando il Parlamento italiano nel cinquantenario dello Statuto, scriveva, nel 1898, che Gaspare Finali presiedeva la Corte dei conti “abilmente e con fermo indirizzo”. Lo stesso Sarti rilevava che, nell’attività di Ministro, il Finali aveva fornito “costanti prove d’alacrità, competenza ed esemplare onestà”.

L’attività del Finali si estese in tutti i settori dell’amministrazione pubblica, compresa quella locale, fece parte, infatti, del consiglio del comune di Roma dal 1873 al 1889 e nel 1878 fu anche assessore alle finanze della Giunta capitolina. Lo stesso Finali commentando la sua intensa attività scrisse nelle Memorie:

“La natura mi aveva favorito di rare doti di energia e di resistenza: io aveva allora quasi cinquanta anni, eppure bastava all’opera di Consigliere e di Assessore per le finanze del Comune, al mio ufficio di consigliere della Corte dei conti, e all’assiduo intervento in Senato, nel quale non di rado fungeva da relatore”.

Nel 1881, essendo ormai riconosciuto come uno dei massimi esperti delle materie finanziarie e contabili, fu chiamato a insegnare Contabilità di Stato presso la Scuola superiore di scienze amministrative, istituita nell’ambito della facoltà di giurisprudenza dell’Università di Roma. Tenne l’insegnamento dall’anno 1881 – 1882 all’anno 1888 – 1889, le sue lezioni furono seguite con grande interesse da un vasto uditorio, due di esse furono anche pubblicate: la prolusione al corso e la lezione conclusiva sulla Corte dei conti. In quella lezione, Finali, dopo avere osservato con ironia:

“Benché ogni giorno più se ne conoscano la natura, le attribuzioni, e la importanza, non credo che sia generalmente nel paese conosciuta ed apprezzata la Corte dei conti, che è uno dei tre massimi istituti civili del Regno. Non oserei dire che non vi sia ancora qualche Sindaco che non partecipi all’errore di un suo antico collega del Veneto, il quale alcun anno dopo il 1866 rivolgeva una sua rimostranza “Alla eccelsa Corte dei Nobili e di Conti”, ma per certo vi ha non pochi i quali dal suo titolo sono tratti a credere che dessa sia niente altro e niente più che un gran Dicastero di Ragioneria e una Magistratura contabile” descrisse le funzioni della Corte, e finì la lezione, dicendo:

“Le funzioni costituzionali, amministrative e giudiziarie della Contabilità di Stato si riassumono nella Corte dei conti; onde a me è parso bello coronare l’insegnamento parlandovi di questo grande Istituto. La Corte dei conti è Magistratura tanto nobile e alta che Antonio Scialoja, insigne scrittore, grande per l’ingegno per l’animo e per le virtù, non credeva discendere quando tornava ad essa dal Consiglio della Corona”.

Fu anche membro o presidente di importanti commissioni nell’amministrazione pubblica: presidente del Consiglio superiore di assistenza e beneficenza pubblica (1905 – 1909); presidente della Commissione sul riscatto da parte dello Stato delle strade ferrate meridionali (1905) e, pur continuando a esercitare le funzioni di presidente della Corte dei conti, fu membro, poi vice presidente, del Consiglio d’amministrazione della Banca commerciale italiana (25 maggio 1907 – 8 novembre 1914).

Dal 30 dicembre 1892 al 20 marzo 1893 fu incaricato da Giolitti, allora presidente del Consiglio, di presiedere la Commissione sull’ispezione straordinaria degli istituti di emissione.

Giolitti, a causa del clamore e delle vivissime preoccupazioni suscitate nell’opinione pubblica sulla commissione di gravi illeciti nella gestione della Banca romana e degli altri cinque istituti di emissione del Regno, decise di nominare una commissione d’inchiesta affidandone la presidenza al Finali, allora presidente della Sezione III della Corte dei conti , sia per le funzioni da questi esercitate presso la suprema magistratura contabile, sia per la sua profonda, riconosciuta conoscenza della materia finanziaria e contabile, sia per la fama di d’indiscussa onestà, matura alla scuola di Quintino Sella.

La Commissione, nominata con R. D. 30 dicembre 1892, fu composta oltre dal Finali, di cinque funzionari dello Stato: Orsini, cui fu affidata l’ispezione sulla Banca nazionale, Durandi cui fu affidata l’ispezione sul Banco di Napoli, Busca cui fu affidata l’ispezione sul Banco di Sicilia, Ragaldi cui fu affidata l’ispezione sulle due Banche toscane e Martuscelli, allora Segretario generale della Corte dei conti, al quale fu affidato il compito più difficile, l’ispezione sulla Banca romana.

La Commissione svolse il suo gravoso, delicatissimo incarico in appena due mesi e mezzo e il 16 marzo 1893 presentò al ministro di agricoltura sei relazioni, su ciascuno degli istituti di emissione, e una riassuntiva, che il 20 marzo successivo furono trasmesse alle Camere.

Le conclusioni della Commissione portarono all’arresto di Bernardo Tanlongo e di Cesare Lazzaroni, rispettivamente, governatore e cassiere della Banca romana, presso la quale la Commissione aveva accertato l’esistenza di una circolazione abusiva di 65 milioni, un vuoto di cassa di 20 milioni artificiosamente occultato, la stampa clandestina di 4 milioni di biglietti di banca, emessi in duplicato degli originali in circolazione.

Il clamore suscitato, anche all’estero, dai risultati della Commissione d’inchiesta indusse la Camera ad approvare il disegno di legge presentato urgentemente dal Governo: fu così istituita la Banca d’Italia (legge 10 agosto 1893, n. 449), soppressa la Banca romana e sottoposta a rigidi controlli l’emissione della carta moneta.

L’opera della Commissione è stata riconosciuta di alto valore dai contemporanei e dagli storici. Finali presiedette la Commissione con assoluta imparzialità, tanto che, come narra nelle Memorie, fino al momento dell’ispezione si era dichiarato estimatore del governatore della Banca romana Tanlongo e aveva anche acquistato dieci azioni di quella banca, che si affrettò a vendere al momento della nomina a presidente della Commissione.

I molteplici impegni non affievolirono però l’impegno del Finali presso la Corte dei conti, che egli considerò sempre di primaria importanza, nonostante fosse entrato con scarso entusiasmo nella magistratura contabile, scrisse, infatti, rendendo omaggio alla Corte, alla quale “ho avuto per 37 anni l’onore d’appartenere, e per 14 anni l’altissimo onore di presiederla”.

Lo stesso Finali, per sottolineare l’indipendenza e la rilevanza costituzionale dell’Istituto, ricordò che il primo decreto da lui firmato come ministro dei lavori pubblici, non fu registrato dalla Corte dei conti, alla quale egli apparteneva, pur essendo in aspettativa durante l’esercizio della funzione di ministro.

L’impegno non riguardò soltanto l’attività propria del magistrato, ma si esercitò anche, durante la sua lunga presidenza, nell’attenzione per l’organizzazione dell’Istituto. Nel 1905, impegnò il suo prestigio per ottenere dal presidente del consiglio, Alessandro Fortis, lo stanziamento di 300.000 lire, necessario per ampliare l’organico del personale, che era ancora quello stabilito dalla legge istitutiva della Corte 14 agosto 1862, n. 800. L’ampliamento, molto contenuto, fu disposto con la legge 9 luglio 1905, n. 361, che istituì la quarta Sezione, aumentò di sette unità l’organico dei magistrati e gli organici delle carriere di concetto e d’ordine.

Contemporaneamente, svolse attività scientifica nel campo delle dottrine contabili e finanziarie, come risulta dagli scritti riguardanti i problemi finanziari e l’ordinamento della Corte dei conti.

Nel 1910 si risposò, all’età di 81 anni, con Enrica Ravagli vedova Agnolozzi, che conosceva da parecchi anni. La signora Agnolozzi aveva due figli Ezio ed Evelina, che assistettero il Finali negli ultimi anni della vita.

Finali sottolinea, più volte, nelle Memorie la sua passione per gli studi storici e letterari ai quali non si era potuto dedicare per i molteplici impegni, tuttavia, nei brevi momenti di riposo, egli continuò a studiare con passione. La sua occupazione preferita delle ore serali sottratte al riposo, fu per oltre venti anni, la traduzione in versi italiani delle venti commedie di Plauto, che pubblicò nel 1903 (Le venti commedie di M. A. Plauto tradotte da Gaspare Finali, Milano, 1903). Scrisse anche di storia locale (Le Marche, ricordanze, Ancona, 1896) e per commemorare le grandi personalità che avevano realizzato l’unità d’Italia, la sua passione più profonda (La vita politica di contemporanei illustri narrata e commemorata: B. Ricasoli, L. C. Farini, Q. Sella, T. Mamiani, M. Minghetti, C. di Cavour, Torino, 1895). Fu, inoltre, socio dell’Accademia dei lincei e nel 1909 fu nominato Presidente del Comitato nazionale per la storia del Risorgimento.

La sua predilezione per la cultura classica, manifestata sin dalla prima giovinezza con numerosi scritti rimasti inediti, fu poi favorita dalla sua amicizia con Giovanni Pascoli.

L’amicizia con il poeta fu occasionata dalla lettura delle Myriciae, la lettura impressionò il Finali che ne scrisse nel 1892 al Pascoli ricordandogli la comune origine romagnola e la circostanza che sua madre era imparentata con la famiglia Pascoli e che egli stesso aveva conosciuto il padre del poeta, Ruggero, vittima di un misterioso omicidio. Il Pascoli lo invitò a casa sua e da allora il Finali gli fu costantemente vicino, favorendo la nomina del poeta a professore ordinario nell’Università e aiutandolo per tutta la vita; dal poeta ricevette suggerimenti e indicazioni per la traduzione delle commedie di Plauto e sollecitazioni e consigli per i suoi studi letterari.

I rapporti fra il Finali e il Pascoli sono documentati nelle lettere che i due si scambiarono, le lettere del Pascoli sono purtroppo andate distrutte in un incendio, mentre quelle del Finali, conservate presso la casa museo del poeta, sono state pubblicate recentemente.

L’opera maggiore del Finali restano le Memorie, scritte dal 1902 al 1912, che sono una fonte importantissima per la storia del Risorgimento e soprattutto per la storia politica e amministrativa dei primi cinquanta anni dello Stato nazionale. Il manoscritto, custodito dopo la morte dell’autore, dal figliastro, ingegnere Ezio Agnolozzi, è stato pubblicato nel 1955, a cura del Comune di Cesena.

In riconoscimento degli altissimi meriti, il re gli concesse nel 1904 il collare dell’Ordine supremo della SS. Annunziata, che lo elevò alla dignità di “cugino” del re e lo inserì nella prima categoria delle precedenze a Corte.

Gaspare Finali morì l’8 novembre 1914 a Marradi (Firenze) nella villa del figliastro, ingegnere Ezio Agnolozzi.