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Il controllo sull’attuazione delle misure assunte durante l’emergenza pandemica, con oltre 2 miliardi di euro stanziati per la riduzione delle liste d’attesa tra il 2020 e il 2024, ha evidenziato criticità nella metodologia adottata, basata su dati autocertificati da parte di Regioni e Province autonome che appaiono non omogenei, stante il mancato utilizzo di flussi informativi nazionali e di sistemi informativi strutturati, allo stato non disponibili. E’ quanto emerge dall’analisi sulla Riduzione delle liste di attesa relative alle prestazioni sanitarie non erogate nel periodo di emergenza epidemiologica da covid-19 che la Sezione centrale di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato della Corte dei conti ha approvato con Delibera n. 90/2024/G, esaminando l’adeguatezza dell’azione amministrativa posta in essere dal Ministero della Salute, in attuazione delle norme sul recupero delle liste di attesa per le prestazioni non rese a seguito della pandemia. Il documento evidenzia le difficoltà incontrate dal Ministero stesso nello svolgimento delle attività di coordinamento e monitoraggio, sia sul versante della verifica dell’avvenuta programmazione, sia per quanto attiene alla capacità delle autonomie territoriali nel comunicare tempestivamente il grado di raggiungimento degli obiettivi da esse programmati. I dati trasmessi, infatti, da Regioni e Province autonome - specifica la Corte - risultano spesso parziali e disomogenei e, dunque, non confrontabili fra loro per le diverse metodologie applicate alle stime dei ricoveri e delle prestazioni non erogate, con informazioni che non forniscono sempre quadri aggiornati e completi, dai quali potrebbe emergere un utilizzo regionale delle risorse stanziate maggiormente orientato al ripianamento dei disavanzi sanitari e a un abbattimento solo residuale delle liste di attesa, stante l’ampia finalizzazione prevista dalla normativa vigente che potrebbe indurre le Regioni ad operare in tal senso.
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